"La maggior parte delle situazioni in cui ci mettiamo
non si sarebbero mai spinte così lontano se non le avessimo aiutate"
José Saramago

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Può dire di avere avuto un Maestro?
Si, certo! Durante l’università un professore mi ha insegnato molto di più delle sue materie. Lo ricordo con affetto e stima, anche se non rimpiango i suoi ritmi di lavoro al limite dell’impossibile. La sua lunga permanenza negli Stati Uniti si fa faceva notare da un modo di fare informale, fattivo e per niente austero. Frequentandolo per qualche anno, ho imparato l’importanza di distinguere tra il “fare bene” con divertimento e il “fare bene” come missione divina tipica di alcuni ambienti della cultura e della ricerca. In verità, ho conosciuto molte altre persone significative che il più delle volte sono andato a cercarmi più per le caratteristiche di personalità che per il fascino delle loro materie. Attualmente, sento un po’ la mancanza di una figura di riferimento e per motivi anagrafici inizio a notare, con un certo stupore, che studenti e colleghi più giovani chiedono consiglio. Se solo sapessero di quanti ne ho ancora bisogno io!
Se tornasse indietro, rifarebbe le stesse scelte professionali?
Quasi tutte! Sono biologo specialista in scienza dell’alimentazione, un campo molto vasto, affascinante e in continua evoluzione. Ho lavorato nel mondo della ricerca e continuo a occuparmi di alcuni aspetti di frontiera del campo delle scienze della nutrizione. Tuttavia, mi pento un po’ di non aver fatto armi e bagagli per partire all’estero. In Italia, è tutto molto difficile e le possibilità di crescita sono limitate. Non che sia il terzo mondo ma è indubbio che il nostro Paese è ai margini dell’innovazione che conta. Per fare un esempio una volta ho partecipato ad una riunione in cui giovani studiosi esponevano le loro linee di ricerca, e altrettanti giovani imprenditori che ascoltavano ed erano disposti a investire i loro capitali nelle idee più promettenti; bene, quella riunione non era dalle nostre parti!
Scrivere quanto spazio toglie al lavoro?
Tanto e più di quanto immaginassi. Scrivere per se stessi o per annotare il proprio lavoro è un conto, invece, mettersi nella prospettiva dell’interesse del lettore è molto diverso. Si scrive e si cancella, interi capitoli che a prima vista funzionano, invece, dopo qualche giorno sembrano da buttare. Tuttavia, lo scrivere è anche lavoro perché per scrivere due righe comprensibili ai più è necessario studiare, fare delle sintesi, comprendere bene quello che si vuole spiegare. Così, alla fine di un paragrafo o di un capitolo ti accorgi di possedere di più un argomento e questo per un professionista è importante, perché si avverte maggiormente la propria competenza. Forse un aspetto un po’ pericoloso dello scrivere è che prende molto tempo senza accorgersi dell’orologio. E’ capitato di aver trascorso intere giornate a battere a macchina, tralasciando tutto il resto, come in trance. Il lavoro consueto ne risente e si avverte di esagerare.
Qual è la parte del suo lavoro più gratificante? E quella più noiosa?
Il mio è un lavoro molto creativo e gratificante. Ogni giorno devo occuparmi di cose nuove che possono essere la revisione di una tesi oppure decidere la partecipazione ad un convegno, un seminario o far avere le mie impressioni per un testo di un collega. Non ho mai conosciuto la routine e questo mi permette di sperimentare continuamente, a volte con capriccio, ma sempre con obiettivi ben focalizzati. Anche i ricorrenti incontri con i pazienti sono fonte di curiosità perché ognuno di essi mi insegna qualcosa e va ad arricchire la mia esperienza. In circa 14 anni di attività professionale è più quello che ho imparato dai miei assistiti che dai libri. Sono molto grato a queste persone. Ovviamente, ci sono anche aspetti noiosi che riguardano le lunghe sessioni al PC per i data entry oppure risolvere i soliti piccoli problemi che ogni giorno tentano di avvelenare la mia creatività. Si tratta della incredibile burocrazia che abbiamo, malfunzionamenti di varia natura ma anche il dover lavorare con pazienti e colleghi che più che tentare di risolvere qualcosa hanno come unico intento di rimanere fermi al punto di partenza.
Qual è stato il suo primo "esame"?
Iniziare il Liceo. Per me si è trattata di una sfida vera e propria. Infatti, a quel tempo non avevo una grossa predisposizione allo studio, anzi, a dire il vero non mi piaceva proprio andare a scuola. Passare alle Superiori in un ambiente piuttosto austero sul piano dell’impegno scolastico è stato un discreto trauma e poteva finire con l’abbandono repentino. Invece, è andata diversamente e sono riuscito a capire in tempo utile che l’unico modo per vedere meglio il mondo è di esplorare la conoscenza. Ovviamente, non sono diventato uno studente modello ma grazie a questo “esame” interiore ho attraversato gli anni giovanili della mia formazione con una certa scioltezza, molta ironia, voti mediocri ma molto entusiasmo per quello che sarebbe stato.
Qual è il suo più grande rammarico?
Aver fatto troppe cose da solo, in solitudine. Purtroppo, è un mio difetto che solo negli ultimi anni si è evoluto in direzione contraria, ovvero, maggiore capacità di cooperare e collaborare.
Lavorare da solo permette di seguire una via ben precisa ma espone ad una incredibile quantità di errori. Il mio stesso percorso professionale si è più volte arrestato per questa tendenza che ho avuto a non chiedere parere e percepire il confronto come una sfida.
Attualmente cerco di fare l’esatto contrario, infatti, per evitare di cascare nel solito difetto cerco di tenere nota di quanto è frutto della mia testa e quanto di altre persone. Se prevalgono le mie sole idee e intuizioni, è segno che non va bene. A volte esagero con questa fobia di fare troppe cose da solo ma in passato mi ha procurato davvero tanti danni.
Quale forma di aggiornamento le sembra più utile vivendo a contatto con i medici? Leggere, andare ai congressi, e-learning…
Tutti insieme. Infatti, un professionista non ha solo bisogno di nozioni e informazioni ma anche molte “dritte” sul “come fare”. I congressi, convegni e seminari sono indispensabili per avere contatti con persone più esperte e scambiare piccole impressioni che al ritorno a casa appaiono in tutta la loro importanza. Le modalità di aggiornamento, anche quelle più moderne tipo e-learning, sono ovviamente fondamentali anche se nel mio caso preferisco un buon testo riassuntivo piuttosto che una miriade di informazioni che arrivano alla spicciolata e si accumulano in maniera poco coerente nella mia testa. Un altro sistema formidabile di aggiornamento sono i siti web che permettono non solo di attingere ad una quantità infinita di informazioni ma anche di entrare in contatto con persone che mai avrei avuto la possibilità di incontrare. Non è raro avere una corrispondenza via email con altissime personalità scientifiche grazie ad una banale ricerca con Google.
Qual è la sua rivista “preferita”?
Ce ne sono molte. In edicola e nelle librerie passo un tempo decisamente esagerato e se le finanze per lo permettessero farei abbonamenti su abbonamenti per un numero imprecisato di riviste. Però, sono affezionato ad una in particolare, “Nutrirsi” di Vincenzino Siani Editore, Roma. Infatti, è una rivista che si occupa di alimentazione in chiave sia scientifica che culturale. Gi autori degli articoli sono di varia estrazione e non è raro accostare il medico all’archeologo, così come lo psicologo allo chef. L’editore è anche un caro amico che ha scritto la prefazione del mio libro, e molto spesso abbiamo discusso insieme di quanto si importante una divulgazione scientifica seria e interessante nello stesso tempo. Infatti, la cultura in ogni suo aspetto va ovviamente diffusa ma non a discapito della correttezza delle informazioni. La vera qualità di un divulgatore è quella di bilanciare proprio questi due aspetti: rigore e semplicità di accesso per il grande pubblico. Non nego che il mio modello inarrivabile sono i programmi di Alberto e Piero Angela.
Le capita ancora di sfogliare l’edizione cartacea di una rivista o consulta la letteratura solo su web?
Purtroppo, prevalentemente sul web, perché è facile, rapido ed economico. Però, non ne vado matto di questa modalità di consultazione perché le cose lette su una buona carta si assorbono meglio. Mi piace premere con il dito o con la matita sulle righe che attraggono la mia attenzione. Alcuni miei libri si sono letteralmente consumati a furia di batterci sopra e sono i testi che mi hanno dato di più. Le versioni elettroniche non possono dare tutto questo, anche se si arriverà ( e non manca molto) all’inchiostro digitale vero e proprio. Credo che più avanti ci saranno due canali editoriali distinti: riviste esclusivamente digitali che permettono un rapido aggiornamento su questioni tecnico-scientifiche e altre che rispondono a delle esigenze di crescita culturale e professionale che richiedono tempi di riflessione più lunghi. Queste ultime riviste difficilmente saranno solo in formato digitale, ma nel tradizionale rilegatura cartacea.
Può dirci una cosa che l'appassiona veramente?
Le passioni incendiano l’anima e fanno fare molte cose inopportune. Nello stesso tempo ti permettono di affrontare ogni ostacolo e se non lo superi ci riprovi finchè non ti passa la voglia o riesci nell’intento. Dovendo fare una classifica ho la fortuna che la mia più grande passione è abbastanza innocua: vado matto per i film di fantascienza. Gli ultimi decenti sono stati prodotti all’inizio degli anni ’80 poi più nulla, solo effetti speciali e storie da cowboy.
I film e la letteratura di fantascienza degni di questo nome hanno permesso di immaginare il futuro e perseguirlo. Le novità tecnologiche attuali sono state in gran parte immaginate in quegli anni; si, perché la tecnologia non è soltanto il frutto di un’abilità tecnica ma soprattutto di un modo di immaginare il mondo a venire. Potrei fare infiniti esempi, tuttavia, nella mia adolescenza grazie a questo genere artistico ho vissuto questi passaggi tecnologici come un avvicinamento a quelle storie raccontate: un esperienza avvincente. Non credo di essere un caso isolato, infatti, sui social network ci sono molte persone che ancora oggi riflettono e discutono sull’influenza sui nostri tempi di queste “science history”. Ai miei figli tutto questo sarà negato perché attualmente non c’è alcuna visione del futuro, nemmeno quella fantascientifica.
Conoscendo da vicino i problemi della formazione in sanità, qual è la prima cosa che farebbe se fosse Ministro della salute?
Il nostro Sistema Sanitario Nazionale è tra i migliori al mondo. Questo non significa che sia anche in grado anche di sviluppare la professionalità dei protagonisti del Pianeta Salute. Sono da ripensare tutte le logiche, molte delle quali di natura politica, che impediscono all’eccellenza di diventare tale. L’assistenza sanitaria deve essere accompagnata anche dalla ricerca scientifica, altrimenti non c’è progresso, pertanto, le cariche, i poteri dovrebbero sottostare anche ai criteri di selezione tipici del mondo della scienza. Nel mondo scientifico, quello vero, vai avanti solo se fai e dici cose condivise dall’intera comunità scientifica internazionale e non per concessione di qualche potentato. Se fossi Ministro della Salute, cambierei tutti gli attuali sistemi di selezione e reclutamento e proprio per questo motivo non rimarrei Ministro a lungo.
In cucina preferisce stare ai fornelli o a tavola?
Mi piace molto la tavola e vedere cucinare. Avrei anche una certa passione per le ricette e intrugli vari ma mi manca il dono della pazienza che in cucina è fondamentale. Se visito posti nuovi non mi soffermo tanto sulle cattedrali e altre attrazioni turistiche ma soprattutto ai sapori e i colori del luogo. Il mangiare mette tutti d’accordo e si può entrare in contatto con altre persone anche senza avere un linguaggio comune. Da Italiano, faccio il tifo per la nostra incredibile cucina, tuttavia, anche all’estero si mangia benissimo ma non sempre nei modi in cui siamo abituati. Faccio l’esempio del caffè. Da noi si chiama “espresso” perché si butta giù in un attimo; nelle zone medio orientali, ci vogliono alcune ore per preparalo e consumarlo. Quindi, è un rito e un modo di stare insieme. Se non lo capisci, dici che è meglio il caffè italiano, se ti soffermi invece arrivi a dire che è sono due cose diverse a cui diamo lo stesso nome.
Quale ricetta – rigorosamente vegetariana – suggerirebbe ai nostri lettori?
E’ una ricetta locale, pugliese, precisamente del Nord Salento, Mesagne è il mio comune. Viene chiamata “acqua e sale”. E’ una ricetta poverissima, interamente a base vegetale e dice molto alle persone del luogo perché è legata allo stare insieme, in famiglia, felici seppure con pochi spiccioli in tasca. La descrivo brevemente: innanzi tutto si mangia in una sola grande ciotola in terracotta, nel senso che non ci sono piatti per ogni commensale. Questo significa che l’igiene potrebbe scarseggiare un po’ ma c’è aria di festa nel contendersi il boccone più prelibato, ma anche un chiaro messaggio educativo: chi non si da fare non mangia e gli rimane solo l’acqua.
Si prepara così: acqua, un po’ di sale, pane raffermo che va in ammollo e tutte le verdure dell’orto. C’è il rosso dei pomodori, l’arcobaleno di ogni verdura e legume disponibile, con particolare risalto del verde scuro dei capperi, il bianco del finocchio, il rosso vivo dei pomodori e le ambitissime patate. Infine origano come se piovesse, e olio di oliva extravergine la cui quantità era in stretta relazione alle possibilità economiche della famiglia. Il tutto assomiglia ad una enorme insalata variopinta che galleggia sull’acqua con le forchette che fanno fatica ad infilzare un sedano o mezza patata. Una zuffa formidabile che regala tante risate, qualche delusione e la pancia piena anche in virtù dell’aria ingerita a causa dei colpi andati a vuoto.
Il suo romanzo preferito?
On the road di Jack Kerouac in lingua originale. Un bellissimo romanzo di una generazione che ha potuto dare tanto in termini di ideali e che si contrappone alla mia che si è rattrappita prima del tempo.
Quale libro ha sul comodino?
Il Candido di Voltaire. Ho bisogno di ottimismo prima di addormentarmi.
Qual è l'ultimo libro che ha regalato?
Scelta vegetariana e vita in bicicletta, Pensiero Editore. Invece, il penultimo Il “Giorno della Civetta” di Sciascia, un libro molto Meridionale per un mio amico molto Settentrionale.
Ha un lettore di e-book? Ha mai acquistato un’edizione digitale?
Si, ho il Kindle di Amazon. Però acquisti pochi, non amo molto le versioni digitali anche se fanno risparmiare e si possono portare appresso centinaia di testi in un taschino.
Che rapporto ha con i social network?
Ottimo, ma non ci gioco e detesto incontrare persone che non vedo e sento da trentanni: non so cosa dire e si avvia il solito “ti ricordi...” che è diventato logoro e senza significato.
Utilizza Face book, YouTube o Twitter?
Tutti, ma temo di averne aggiunti anche degli altri. Tuttavia, sono concentrato su Facebook perché è uno strumento formidabile per ogni tipo di esigenza tra cui la normale comunicazione tra persone.
Usa gli sms anche come mezzo per comunicazione di lavoro?
Si, molto ma appartengono già ad un’altra epoca. Credo che le email entro poco tempo faranno scomparire gli sms perché sono molto più efficaci e non soffrono di quel ridicolo limite dei 165 caratteri per ogni invio.
Il cinema: qual è l’ultimo film che ha visto?
To Rome with Love, di Woody Allen. Fantastico, doveva venire un Americano per descrivere l’Italia di oggi.
Consiglierebbe un film particolare ad un giovane che i occupa di alimentazione?
Prendimi l’anima di Roberto Faenza. In realtà è una storia di uno psichiatra ma è importante che lo veda anche un giovane collega perché i rapporti con i pazienti sono caratterizzati da tante cose e bisogna saper distingue i confini di una relazione di tipo personale e quella professionale.
Qual è la città italiana dove si reca più volentieri?
Roma, faccio sempre gli stessi percorsi e mi piace incontrare il cupolone di San Pietro. Sono un romantico e Roma è la città per più romantica dopo Venezia. Però, Venezia è un luogo astratto mentre Roma è li presente, sanguigna, vicino a al mio essere.
E all’estero?
Berlino, ammiro molto i tedeschi: un popolo straordinario che guarda caso si nuove in bicicletta.
Il suo sport preferito?
Il Taekwondo. Uno sport da combattimento coreano. In passato ho fatto la mia parte e ora sono contento di vedere un mio concittadino che andrà alle Olimpiadi di Londra a difendere i colori azzurri. Gli auguro di vincere, se lo merita dopo le delusioni di Atene.

Il Pensiero Scientifico Editore/interviste

 
 
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